Chi mi conosce sa che non sono particolarmente interessato all’argomento blockchain. Per quanto la tecnologia in sé abbia degli aspetti indubbiamente innovativi, l’hype che vi si è generato attorno, soprattutto di fronte alla penuria di applicazioni concrete, ha funzionato un po’ da deterrente.
Per un periodo, sembrava che bastasse aggiungere il termine di fianco ad un qualsiasi progetto per renderlo immediatamente all’avanguardia, come per magia. Trovo la cosa fastidiosa, ai limiti del repellente. A onor del vero, accade lo stesso per l’Intelligenza Artificiale, ma almeno lì i risultati sono più solitamente tangibili.
In settimana, però, nel mondo della blockchain è entrata a gamba tesa l’arte, che ha reso tutto decisamente più intrigante.
Poco più di un anno fa, i Los Angeles Lakers hanno affrontato in casa gli Houston Rockets. Ad un certo punto del match, LeBron James si è lanciato in un colpo da maestro, adottando delle movenze particolari.
Ai fan quei movimenti non sono sfuggiti. Dopo poco, infatti, su internet hanno iniziato a circolare alcune immagini di Kobe Bryant, scomparso giusto un paio di settimane prima, esibirsi negli stessi identici gesti nel lontano 2001 — proprio in quel canestro dello Staples Center losangelino.
Reperire il filmato non è difficile, come è anche semplice imbattersi in video che mettono fianco a fianco LeBron e Kobe per mostrare quanto effettivamente simili siano state le due schiacciate. Che sia YouTube o Twitter, chiunque può effettuare una ricerca e trovarlo in pochi istanti. Naturalmente gratis.
Perché mai allora qualcuno dovrebbe pagare $50.000, $100.000 o persino $200.000 dollari per ottenerne una copia? È esattamente ciò che sta avvenendo nel mercato nascente della cripto-arte. Ma per capirlo, è necessario bagnare i piedi nella blockchain, e segnatamente nel concetto di non-fungible token (NFT).
LeBron ha poi confermato che il suo era a tutti gli effetti un tributo.
Blockchain e NFT
Partiamo dalla blockchain. Al livello più elementare, si tratta di un ledger virtuale (un libro mastro) nel quale ogni transazione viene registrata ed autorizzata in modo criptato e distribuito. Prendiamo l’esempio classico del Bitcoin, la criptomoneta. Le valute tradizionali sono sotto l’autorità di un garante, una banca centrale, che ne controlla l’autenticità e l’emissione.
Con una criptovaluta, invece, la veridicità dei trasferimenti di denaro non è legata allo stampo di un ente centralizzato, bensì ad una verifica accordata da tutti i partecipanti. Il ledger è aperto e pubblico1. Ogni qual volta avviene uno scambio, viene aggiunto un blocco (block) alla catena (chain), che ne segna il contenuto e assicura che un determinato asset (l’ammontare di bitcoin nel nostro caso) sia passato da una mano all’altra, senza che quel frammento digitale possa essere copiato o replicato2. Nella blockchain del Bitcoin, ogni bitcoin che esiste in un dato momento è preso in conto e registrato, e dunque non può trovarsi in due posti contemporaneamente.
Il concetto di moneta (e di criptomoneta), tuttavia, è quello di un asset fungibile: io posso dare a qualcuno 10€ e ricevere due banconote da 5€ in cambio senza dovermi preoccupare di alcuna perdita di valore. Allo stesso modo, il mio bitcoin vale quanto quello di un’altra persona. Ma non è detto che in una blockchain avvengano solo scambi di denaro, anzi. Nella blockchain di un’altra criptovaluta famosa, Ethereum, sono infatti registrati altri tipi di exchange, come messaggi, verifiche dell’identità, o anche cosiddetti “smart contract”. Gli NFT sono un tipo di smart contract a cui si può associare in maniera biunivoca un qualsiasi tipo di file digitale, e la loro non fungibilità è alla base del mercato dell’arte digitale che ora sta esplodendo.
Nel mondo reale siamo circondati di asset infungibili — in effetti, tutto ciò che acquistiamo lo è. È per questo motivo che esiste la moneta; io non compro un televisore barattandone un altro, ma pagando i €500 che costa. Se acquisto un quadro, un’automobile o una pizza accade la stessa cosa. Il mondo digitale, tuttavia, ha un problema insito nella sua natura, e cioè che ogni asset (una foto, una traccia MP3, un file .pdf, etc.) può essere copiato e riprodotto infinite volte a costo zero (al netto delle violazioni di copyright e il discorso legato alla pirateria). Inoltre, poiché un bene digitale può tranquillamente essere “assorbito” su internet, spesso non c’è alcun bisogno di possederlo. Non devo acquistare il video di LeBron James per poterlo vedere. In questa istanza, per altro, non esiste nemmeno un corrispettivo nel mondo reale per cui l’acquisto potrebbe avere un senso; una foto, volendo, si può stampare e traslare in qualcosa di fisico, un video no.
Perché dunque pagare, e pagare cifre che appaiono fortemente esagerate? È qui che gli NFT cambiano la partita.
NBA Top Shot e il valore dell’arte digitale
La National Basketball Association, meglio nota come NBA, ha aperto un canale ufficiale chiamato Top Shot, in cui raccoglie scatti e brevi filmati delle migliori giocate e li vende al miglior offerente. Generalmente, ogni nuova uscita fa sold-out nel giro di pochi minuti.
La chiave di volta è proprio negli NFT: la vendita è registrata sulla blockchain (qui Ethereum), ma chi acquista, oltre al video in sé, ottiene un certificato (lo smart contract) con un codice seriale che ne sancisce due aspetti, la legittimità (la provenienza, cioè l’NBA3) e l’unicità: di quella specifica manifestazione del file, con associato quel preciso ID, ve n’è una sola copia sulla blockchain, impossibile da alterare o riprodurre.
Poiché però generare altre copie ufficiali non costa (quasi4) nulla all’emittente, spesso i filmati sono replicati e messi sul mercato in “serie limitate” (tenendo comunque il numero di copie basso per non diluirne il valore). Su NBA Top Shot ci sono circa 400 artefatti digitali in vendita, ciascuno con le proprie copie uniche e numerate. Le clip targate #1, di solito, hanno un prezzo maggiorato, ma anche quelle che corrispondono al numero sulla maglia del giocatore tendono a costare considerevolmente di più.
Non conta la fruizione del contenuto, ma il certificato di genuinità e unicità ad esso associato. Nel mondo digitale, la blockchain può riprodurre quelle condizioni.
A ben pensarci, ciò già accade nel mondo dell’arte tradizionale — come mai l’originale è più ambito, anche in presenza di copie essenzialmente identiche? Perché l’autenticità ha un valore inestimabile che esula dall’utilizzo, ed è il motivo per cui i collezionisti sono disposti a sborsare cifre inimmaginabili per i bollini di Christie’s o Sotheby’s5. Un processo, tra l’altro, spesso lungo e dispendioso di per sé, che la blockchain rende invece immediato e sicuro al cento per cento.
Si potrebbe ribattere sottolineando che nel mondo fisico la connessione è più forte, poiché la copia originale è quella su cui l’artista ha messo le proprie mani. In un certo senso, però, è così anche nel mondo digitale: il file video di NBA Top Shot è girato e prodotto dalla società.
Ma se comunque un franchise sportivo come l’NBA può restituire un’aria troppo impersonale, ci sono anche individui che con gli NFT passano i contenuti direttamente dal loro wallet a quello dell’acquirente: l’artista Beeple, per esempio, sta vendendo la sua arte all’asta, con disegni che gli hanno fruttato la bellezza di $3,5 milioni nel giro di un weekend. Le stesse identiche immagini si possono vedere sul suo profilo Instagram, dove sono liberamente condivise. Si può fare velocemente uno screenshot e salvarle nella galleria senza dover toccare il conto in banca.
Ma il punto, anche qui, non sta na nella fruizione o nella licenza di utilizzo, che nel caso dell’arte visiva ha comunque poco valore intrinseco, bensì nel possesso (certificato!) di un artefatto a suo modo unico. Il file messo in vendita, quello su cui l’artista ha lavorato, è uno solo (con eventuali altre copie “firmate” a tiratura limitata), è garantito, e tale elemento dona un valore aggiunto che fan da tutto il mondo stanno facendo gara ad accrescere. La blockchain trasforma l’etereo in collezionabile.
Il DJ Justin Blau sta vendendo copie limitate del suo prossimo disco su Ethereum. Chris Torres, il creatore del celebre Nyan Cat, ha piazzato una copia d’autore della GIF per un valore pari a circa $580.000. Il duo milanese Hackatao ha incassato $250.000 con merce virtuale su SuperRare. Fra i nomi famosi figurano deadmau5 e Justin Roiland. I collectibles spaziano dai JPEG (immagini) alle GIF (animate), passando per mappe, modelli 3D, font, ma pure tweet e skin di personaggi di un videogioco. Come detto prima, agli NFT si può associare di tutto — basta fare un giro su marketplace come Nifty Gateway o lo stesso SuperRare per farsi un’idea — e il mercato complessivo è stimato attorno ai $250 milioni, con un enorme potenziale di crescita.
Inoltre, poiché il tracciamento della blockchain permette di risalire al venditore originale, c’è anche un intero mercato secondario che si sta sviluppando in parallelo, che può fiorire tranquillamente dando certezza assoluta agli acquirenti che il prodotto sia autentico; il libro mastro parla chiaro, la storia della ownership è sotto la luce del sole, e come detto non si può manomettere. Molti nel mercato della cripto-arte si pongono come intermediari al solo fine di lucrare in tale maniera.
Ora, non starò a convincervi della validità di questi prezzi. Se pensate che siano folli, avrei difficoltà a controbattere. Ma mi troverei in una situazione similmente ardua anche se dovessi giustificare i prezzi inenarrabili di tanti oggetti che vanno all’asta già adesso — sempre per restare nell’NBA, alcune carte e figurine da collezione hanno raggiunto cifre che farebbero impallidire TopShot (per adesso).
L’arte, per definizione, non ha limiti, e lo stesso vale per il prezzo arbitrario che vi si può attribuire.
Scarsità digitale e il cambio di direzione
Ciò che è più interessante notare è che se un video o una GIF possono avere un prezzo, allora qualunque oggetto virtuale può averlo (in particolar modo quelli che, come i video, non hanno un analogo nel mondo reale), posto che ci sia una firma dietro che ne giustifica l’interesse in partenza. Immaginate, per dire, il video ufficiale con la firma della FIFA che mostra il gol della vittoria nel Mondiale 2006 (in realtà gli investimenti in NFT nel calcio ci sono già!) o una mappa 3D esplorabile in realtà virtuale dei Musei Vaticani o della Galleria degli Uffizi.
Se non valore di per sé, la blockchain permette che si creino le condizioni per un qualsiasi artefatto digitale per acquisire valore. Non ho dubbi sul fatto che due esempi come quelli sopra andrebbero a ruba in Italia, con collezionisti nuovi e di vecchio stampo. È un cambiamento di fondo, connotato da un sapore squisitamente online6. Non solo un’evoluzione dei meccanismi, dunque, ma un movimento che può esistere e proliferare solo in un mondo ancora del tutto nuovo, caotico ed in fieri, che analizzato con le lenti tradizionali non può che apparire assurdo, senza senso, forse detestabile. Ma è l’inevitabilità di un futuro che ci vede sempre più intrecciati alla rete, l’unico villaggio realmente globale, in tutte le sue più bizzarre manifestazioni.
Altrettanto cruciale, dal mio punto di vista, è poi il cambio di direzione che il mercato degli NFT rende possibile. Non si può andare al supermercato e pagare in cassa con una pepita d’oro: bisognerebbe prima convertire il metallo e poi usare il denaro per acquistare il cibo. Ciò però non toglie che l’oro abbia un valore, che non deriva dal suo utilizzo in quanto tale (che si riduce ai gioielli e poco altro), bensì da una sorta di accordo collettivo basato sulla sua scarsità. Anche il Bitcoin è scarso (nel senso di limitato7), e non si può usare, nella maggior parte dei casi, per acquistare beni nel mondo reale per via diretta. C’è ancora uno step di mezzo.
Sui mercati degli NFT, però, quello step prende forma al contrario: è la moneta fiat (dollari, euro, sterline, etc.) che si converte in moneta digitale, ed è quest’ultima che si usa per scambiare la merce — online. È un passo fondamentale che cambia la natura delle criptomonete, da semplici riserve/asset potenziali a vere e proprie valute spendibili. Nel caso del mercato dell’arte virtuale, ciò diventa un modo per valorizzare il lavoro di tanti artisti, che ormai producono soltanto in rete. Ma, soprattutto, la blockchain più in generale si rivela uno strumento ingegnoso che permette di introdurre il concetto di scarsità (e il valore ad essa legato) nel mondo digitale, che si poggia invece sull’abbondanza e chi riesce a gestirla. Gli NFT sono un’ottima dimostrazione di come la scarsità digitale si può tradurre in termini reali.
Sicuramente, il fatto che le criptovalute siano decentralizzate continuerà a voler dire che saranno soggette a forti oscillazioni, e che potrebbero benissimo formare una bolla e scoppiare. Quando non c’è un bene rifugio alla base, si tratta sempre di speculazione, e come detto in apertura sulla blockchain c’è sempre molto — troppo — hype. È altrettanto vero però che tutto ciò che ha importanza spesso nasce come un gioco, preso in giro e schernito. Fino a che, apparentemente da un momento all’altro, quel potenziale prende forma e tutte le dinamiche vengono stravolte.
Quindi, nel consigliare cautela — e un po’ di sano scetticismo — mi sento anche di dire che questo mondo va tenuto d’occhio con maggiore attenzione. Io per primo!
Futuro Lesto:
Insieme alla blockchain, la realtà virtuale (VR) è l’altra tecnologia che molti pensano possa essere la “next big thing”, il nuovo cambio di paradigma dopo la rivoluzione dello smartphone. E, come per la blockchain, io mi mantengo guardingo — non perché non credo nel potenziale della VR, ma perché, al momento, se anche quel potenziale si potesse esprimere a pieno non riesco ad immaginare un mondo in cui un visore capace di trasportarci in un universo virtuale possa porsi al centro delle nostre vite (certo, pensando allo smartphone questa esatta definizione potrebbe far riflettere, ma credo le differenze siano comunque palesi). Uno dei campi in cui la VR ha sicuramente molto da offrire, però, esiste, ed è il gaming — i videogiochi sono già degli universi virtuali alternativi, e il livello di immersione che si può raggiungere in realtà virtuale potrebbe sbloccare nuovi tipi di esperienze. Sony ha puntato molto sul suo PlayStation VR (PSVR), ed ora ha pubblicamente annunciato che nel 2022 sarà rilasciata una nuova versione, appositamente per PlayStation 5. La tecnologia sarà migliorata: meno cavi, un casco più leggero, risoluzione più alta, campo visivo ampliato, comandi più reattivi. Tutto bello. Unico problema: abbiamo già visto che nelle industrie entertainment-driven ciò che fa da re è il contenuto, non la tecnologia, quindi a meno di spingere forte con qualche IP di peso, anche il PSVR rischia di rimanere confinato ad una nicchia poco rilevante.
Spotify ha organizzato un evento, Stream On, in cui ha rilasciato un po’ di notizie sullo stato della compagnia e dato qualche preview sulle strade future. Due i punti che mi hanno interessato, uno per i consumatori ed uno per gli advertiser. Il primo riguarda un nuovo “livello” dell’abbonamento premium: pagando un extra, sarà possibile ascoltare i brani ad una risoluzione superiore per un ascolto ancora più fedele, dai 320kbps di adesso ad una “qualità CD”. Musica per le orecchie degli audiofili — letteralmente. L’altra news riguarda la formazione di un Audience Network per gli inserzionisti. Gli abbonamenti probabilmente continueranno ad essere al centro del business model di Spotify, ma il CEO Daniel Ek ha reso chiaro che la pubblicità sarà un’altra colonna portante. Non ci sono ancora dettagli precisi su come la piattaforma funzionerà, ma è facile immaginare a podcast intervallati da segmenti di pubblicità personalizzata. A voi piacerebbe se fosse il vostro podcaster preferito a sponsorizzare qualcosa?
Vi ricordate la definizione di Apple come “iPhone Company”? Ecco. Gartner, che si occupa di analisi di mercato, ha stimato che nell’ultimo trimestre Apple abbia venduto più iPhone di quanti smartphone abbia piazzato Samsung in totale, riprendendosi la corona di primo venditore globale. Considerando che la casa coreana sforna dozzine e dozzine di modelli, a fronte di una cinquantina scarsa di SKU di iPhone8, il dato è semplicemente impressionante. L’ultima volta che ciò è accaduto è stato cinque anni fa, nel 2016 — e la cosa più incredibile è che all’inizio del quarter i nuovi modelli (la serie 12) non erano neanche sul mercato. Il numero? 80 milioni — sebbene il mese scorso IDC, un’altra compagnia di analisi, abbia parlato addirittura di 90M. In ogni caso, il più alto di sempre.
Poteva mancare un aggiornamento sulla questione Australia? Certo che no. Quel che è successo è che, con il suo rifiuto, Facebook ha chiamato il bluff. Quando le news sono scomparse sui feed degli utenti australiani da un momento all’altro, com’è comprensibile è scoppiato un putiferio. Ci sono state diverse telefonate tra i politici australiani e Facebook, incluso lo stesso Mark Zuckerberg, nel tentativo di trovare un accordo in extremis prima che la bozza si tramutasse in legge. Gli accordi si sono trovati, e a differenza di quelli con Google (che si è impegnata a pagare), Facebook si è sostanzialmente schermata, riservandosi il diritto di gestire individualmente il rapporto coi publisher, e decidendo, se lo ritiene opportuno, di non negoziare affatto. La nuova legge, quindi, al momento non si applica, ma rimane un coacervo di pessime idee che può continuare a fare danni anche altrove. Chapeau!
Se ve lo steste chiedendo: sì, questo è assolutamente un unbundling (finanziario).
Un’operazione tremendamente complessa e dispendiosa da un punto di vista computazionale, ed è per questo che chi in pratica si occupa del processo di certificazione (attraverso computer straordinariamente performanti) è poi ricompensato con nuove frazioni di criptomoneta, un processo noto come “mining” (il paragone è con l’estrazione di minerali).
In questo caso il contratto è firmato sia dall’NBA, proprietaria di Top Shot, sia dalla National Basketball Player Association.
Su Ethereum ci sono dei costi di transazione, ma nell’ordine delle cifre spaventose che i venditori maneggiano, si tratta comunque di esborsi marginali.
Naturalmente, le vecchie case d’asta sono interessate.
Uso il termine volutamente come un aggettivo — è una mia traduzione del più comune e diffuso “extremely online”.
Ogni criptovaluta ha un limite, stabilito nel codice; Bitcoin, ad esempio, dovrebbe giungere alla fine a 21 milioni di unità totali.
Tutti i modelli, in tutte le colorazioni, e con tutti i tagli di memoria.