Nel terzo numero ho riservato uno slot di Futuro Lesto a Clubhouse. In quel momento ero interessato ad evidenziarlo per due motivi: i $100 milioni di fondi raccolti nel round guidato da Andrew Chen di Andreessen Horowitz, e la concomitante ondata di hype che stava iniziando ad espandersi ben oltre i confini della Silicon Valley.
Grazie a Gianvito Fanelli â alla cui Colazione dei Campioni dovreste iscrivervi prima di subito â lâonda è arrivata anche a me1. Non ero scettico circa la qualitĂ , e anzi mi ero messo in coda per provare lâapp (Clubhouse è ancora in beta e bisogna essere invitati per accedere), ma non riuscivo a comprendere fino in fondo lâeuforia.
Poi ho iniziato ad usarlo, e ho realizzato quanto lo avessi lo sottovalutato. Nel giro di pochissimo è scattato qualcosa in me, qualcosa che mi ha fatto pensare. Ora, non vorrei passare da un capo allâaltro. Ma dietro Clubhouse, credo, si può rintracciare un cambio di paradigma significativo, che riguarda internet come lo conosciamo â e che, incidentalmente, passa da Futuro Lento.
Misura dâuomo
A Tokyo câè un negozio che vende un solo libro alla volta. Si chiama Morioka Shoten, e si trova in un angolo appartato nel cuore della megalopoli nipponica. Ogni sette giorni, il proprietario Yoshiyuki Morioka allestisce il locale come una piccola galleria dâarte che riprende il tema della pubblicazione, unico oggetto disponibile allâacquisto. Ă molto minimal e suggestivo, ma soprattutto apertamente fuori dal coro.
Quando Morioka ha inaugurato lo Shoten nel 2015, infatti, voleva lanciare un guanto di sfida. Dopo aver lavorato per anni nel settore, era giunto ad un punto in cui era sempre piĂš occupato nellâaspetto logistico; una sensazione fastidiosa che lo vedeva allontanarsi dalle parole in favore dei numeri. Librerie enormi e cataloghi progressivamente piĂš ingestibili gli stavano impedendo di focalizzarsi sul contenuto. Il piacere stesso della lettura stava venendo meno.
Morioka Shoten è nato per opporsi alla corrente, invitando i lettori a ridare consistenza ai testi, concentrarsi sui messaggi, dedicarvi il tempo adeguato: in sostanza, riportare lâesperienza a misura dâuomo e godersi il libro. Libro che Morioka sceglie personalmente, in base ai suoi gusti e alle sue conoscenze; poi, dentro lo spazio, accoglie chi lo desidera per discuterlo, confrontarsi, e magari trarre spunti per lâedizione seguente. Il successo, inaspettatamente, è stato travolgente. Morioka Shoten è diventato un fenomeno nelle comunitĂ nazionali e internazionali, con visitatori in arrivo da tutto il mondo.
Si tratta indubbiamente di un esperimento dâeccezione, e come ogni boutique deve molto alla sua singolaritĂ : se non in quella stradina poco distante dalla trafficata Ginza, probabilmente non potrebbe esistere. Unâaltra cittĂ non rispecchierebbe lâidentitĂ culturale profonda e squisitamente giapponese che scorre nelle vene dellâattivitĂ . E se ci fosse un secondo Shoten, lâunicitĂ verrebbe meno. Inoltre, pur non essendo dâelite, il negozio è comunque dal gusto ricercato, e perchĂŠ funzioni deve esserci una clientela che, portafoglio alla mano, rispecchi e dia valore a quel prodotto in ogni sua sfaccettatura.
Ma che succede quando ci muoviamo online, ossia nella metropoli piĂš densa del mondo?
Come abbiamo visto la settimana scorsa, una delle promesse della rete è quella di eliminare le restrizioni geografiche e consentire di fare leva su potenziali clienti sparsi per lâintero il pianeta. Anche grazie alla pubblicitĂ , si creano collegamenti che prima del web sarebbero stati impensabili.
A ciò tuttavia si aggiunge lâaltra faccia della moneta, lâabbondanza. Anzi la sovrabbondanza, che caratterizza una rete virtualmente illimitata su cui converge tutto: tutte le persone e tutte le cose. Con i social network come porta dâingresso: per i piĂš, Facebook e Instagram (e Twitter, e Reddit, e TikTok, etc.) sono internet, con qualche sparuta deroga. Questi servizi hanno solidificato lâimmagine di un web senza confini â una versione sotto steroidi della grande distribuzione, se vogliamo â ma non potrebbe essere altrimenti.
Morioka gestisce il suo punto vendita in totale autonomia in un ambiente quasi nascosto. La limitata estensione, lâesclusivitĂ che ne deriva e la selezione fatta a mano dal fondatore sono la sua forza, in aggiunta allâidea originale del riassortimento a frequenza rapida.
Ma come si ricrea unâanaloga esperienza di âartigianatoâ online? Ed è anche solo possibile, sulla rete, progettare qualcosa che non funzioni in scala? La risposta è no. Lâho scritto poche righe sopra: il web non ha linee di demarcazione, e ânon potrebbe essere altrimentiâ.
Non è detto però che altre caratteristiche non possano essere riprodotte. Che, come lo Shoten, non si possa andare controcorrente. Ed è proprio in questâottica che trovo Clubhouse cosĂŹ interessante.
Welcome to the club: take it easy for a little while, come and stay with us
Per chi si fosse connesso solo ora, Clubhouse è un nuovo social network, basato esclusivamente sullâaudio. Funziona cosĂŹ: ogni utente può aprire una propria âstanzaâ, stabilire un determinato tema di cui discutere, decidere se renderla pubblica o privata e fare entrare altre persone. Alternativamente, ci si può infilare in una room giĂ avviata. Un poâ come in una conferenza, moderatori e speaker gestiscono il pannello portando avanti il discorso, mentre il pubblico rimanente ascolta.2 Con unâunica differenza: premendo un tasto, si può âalzare la manoâ e chiedere la parola. Un tap di approvazione e lo spettatore si unisce al palco virtuale, con facoltĂ di parlare.
Quando ci si iscrive, Clubhouse chiede di indicare alcuni interessi e offre altri profili da seguire. In questo modo, câè sempre una stanza in cui intrufolarsi. Si chiacchiera veramente di tutto: dalla tecnologia allâarte, passando per il marketing, la moda, la musica, la politica, il cibo, lâurbanistica. E, naturalmente, Clubhouse stesso: è tornato un senso generale di eccitazione per qualcosa di cosĂŹ apparentemente elementare e per certi versi vecchio (lâeco della radio è fortissima) eppure cosĂŹ fresco. Lâultima volta, forse, risale al lancio delle storie, il format popolarizzato da Snapchat.
I giudizi sulla piattaforma non mancano. Ma piĂš che il contenuto delle riflessioni, ciò che mi ha sorpreso è proprio il fatto di aver sentito cosĂŹ tanta gente esprimersi, ognuno con la propria viva voce. Clubhouse sembra il primo tentativo riuscito di mettere il âsocialâ nel âsocial networkâ. PerchĂŠ è intrinsecamente sociale, cioè basato sulle persone; perfino i brand presenziano solo se intermediati da chi vi sta dietro. Facebook, Instagram, TikTok e gli altri sono piĂš propriamente degli ad network, che monetizzano la nostra attenzione inframmezzando i contenuti degli utenti alle pubblicitĂ . Lâaspetto social è quasi un contorno.
Non è un caso che, da un punto di vista del design, i feed tradizionali siano a scrolling verticale; di fatto â in pieno stile internet â infiniti. Se uno non si ponesse autonomamente un freno, ci sarebbero post da guardare e foto a cui mettere âMi piaceâ (e quindi annunci) fino alla fine dei tempi. In Clubhouse, invece, le room hanno un termine: quando una chat si conclude si esce, e non ne rimane alcuna traccia. O meglio: la traccia rimane, ma dentro di noi. Lâesperienza è ogni volta unica e irripetibile, non registrata, e non si accumula dunque un arretrato di cose da recuperare. Si tratta a tutti gli effetti di eventi live, per i quali dire âio câeroâ.
AffinchĂŠ lâinterazione con Clubhouse abbia senso un minimo di dedizione è richiesta: fare âzappingâ fra una stanza e lâaltra è possibile, e a volte essenziale per sintonizzarsi su quella giusta, ma usare lâapp per passare qualche minuto svogliato ne contraddice le fondamenta concettuali. Per fortuna, al momento è ancora difficile imbattersi in qualcosa di non coinvolgente; vuoi perchĂŠ la tematica è ben allineata agli interessi indicati, vuoi perchĂŠ diversi personaggi di spessore saltano fuori a sorpresa per cimentarsi in brillanti masterclass improvvisate.
Non male ritrovarsi nella stessa room con questi due e sentire di che favoleggiano, no?
La platea, altro punto fondamentale, è ridotta: câè un limite alto di 5000 spettatori, ma il pannello di speaker è solitamente composto da una ventina di individui al massimo. Che sono comunque sufficienti per garantire la pluralitĂ delle voci; in piĂš, il fatto stesso di captare lâimpronta digitale acustica degli altri dĂ vita ad ogni discussione. Si percepisce la profonditĂ dietro allâavatar bidimensionale. Lâintonazione, gli accenti, il sacasmo, lo humor: tutte sfumature che nellâinferno dei social si perdono, e che qui hanno un posto in prima fila.
Le conversazioni sono dunque gestibili, e sorprendentemente educate e civili, dacchĂŠ la struttura dellâapp invoglia non a parlarsi sopra (e venire cacciati e segnalati), ma a partecipare: la barriera dâingresso per contribuire, trattandosi soltanto del dover parlare (senza video), è straordinariamente bassa. Non si deve rimanere incollati allo schermo, si può fare altro nel frattempo, e quando si entra nel discorso si interloquisce, si argomenta, e si ha modo di completare un ragionamento.
I moderatori cercano di non far divagare troppo dal tema scelto, che serve a catalizzare chi si collega attorno ad un interesse condiviso, ma non è raro che si finisca per spaziare. Gli esseri umani sono innatamente poliedrici, e questa varietĂ contribuisce allâimpressione di stare realmente ascoltando i pensieri elaborati di una persona in carne ed ossa. Che può essere chiunque: il social è a porte aperte, riunisce gente di ogni etĂ , provenienza ed estrazione, e la semplicitĂ dâinterazione aiuta nel dar voce anche a chi nella marea digitale rischia troppo spesso di sparire annegato.
Clubhouse è infatti intrinsecamente orizzontale. Il fatto che ancora non sia liberamente accessibile è solo una nota temporanea e di carattere gestionale, non câentra assolutamente nulla col prodotto3. In cui è presente un sottile velo di gerarchia, ma giusto quello necessario per mantenere lâordine; una volta entrato in una stanza, ciascun partecipante è teoricamente ad un passo dal fare una domanda ad un âinfluencerâ piĂš o meno famoso. PoichĂŠ però tutto avviene in diretta, le conversazioni non possono essere alterate come una foto o un messaggio prefabbricati. I venditori di fumo hanno vita breve.
Di piĂš: senza una struttura che privilegia lâegemonia estetica del preconfezionato, lâidea tipicamente verticale di influencer â che dalla cima guarda la folla di seguaci â non ha modo di esistere. Il contenuto, che è emergente e può prendere forma soltanto in gruppo, torna indietro ai suoi creatori sotto forma di arricchimento personale anzichĂŠ rimbalzare in alto con like, ricondivisioni, reaction, o qualsiasi altro tipo di metrica. Tutto ruota non attorno ai singoli, ma ai dibattiti collettivi, la cui forza è ingenitamente qualitativa. Parole, non numeri.
Non esiste difatti la pubblicitĂ , almeno per adesso; Clubhouse non ha un flusso di entrate, ma i fondatori hanno dichiarato che il business model a cui puntano si baserĂ sul prelievo di una percentuale sulla vendita diretta di biglietti, abbonamenti, e lâopportunitĂ di sostenere in maniera volontaria i creator piĂš prolifici â un ulteriore incentivo a mantenere elevata la qualitĂ delle room piĂš che la conta dei follower4.
Se ciò di cui si parla non è autenticamente stimolante, con un semplice tasto si può lasciare la stanza. Chi resta lo fa perchÊ, loquace o in silenzio, è effettivamente preso da ciò di cui si discute.
Gli schemi si rovesciano di nuovo: anzichĂŠ far vedere mille cose inutili su cui si sprecano momenti effimeri, Clubhouse dĂ la possibilitĂ di ottimizzare il proprio tempo in una o poche room. I maggiori social, con i loro feed interminabili, amplificano la prima dinamica. Sono come una strada dritta senza fine, in cui camminare implacabilmente è un obbligo e prendere una pausa è difficile â se non a causa dei bombardamenti di annunci che, come passanti inopportuni, ci gridano âehi! ehi tu!â ogni dieci metri per avere la nostra attenzione. Clubhouse è come il centro storico di un piccolo borgo, in cui ciascuna stanza rappresenta un negozietto con una proposta in vetrina e degli appassionati riuniti allâinterno.
Vi ricorda niente? Immagino di sĂŹ, e la metafora si estende fino alla realtĂ : nel biglietto da visita, Morioka Shoten riporta soltanto le informazioni basilari e una frase per descriversi. Che recita: âUna singola stanza con un singolo libroâ.
Il miraggio di un internet lento
Ă dunque Clubhouse lâarchetipo non scalabile di artigianato digitale? Forse. Le dinamiche che riproduce si sovrappongono largamente con quelle degli store indipendenti, ed è affascinante notare come la feature principale, la chat audio, sia tecnicamente piuttosto stagionata: la dimostrazione che è sempre lâuomo a rendere vincente una tecnologia, e solo occasionalmente il contrario. Lâunica differenza chiave â lâinevitabile espansione in scala, tarata sulla cittĂ piĂš densa del mondo â diventa sorprendentemente un punto di forza.
Certo, bisognerĂ vedere cosa accadrĂ quando a popolare Clubhouse sarĂ potenzialmente un miliardo di utenti. Il problema piĂš urgente, oltre alla moderazione, è la curation: quando il borgo crescerĂ a dimensione internet, lâofferta di stanze sarĂ cosĂŹ vasta che gli algoritmi in gioco dovranno trovare un buon bilanciamento fra la scelta immediatamente sotto mano (la prima decina di room suggerite) e la qualitĂ della stessa, filtrando lâinevitabile afflusso di spazzatura. La selezione sarĂ uno snodo decisivo â non può esserci un Morioka a fare da garante universale.
Quel che è sicuro, però, è che Clubhouse è strutturalmente progettato per essere antitetico ad un web geneticamente ipertrofico. Laddove continuare a scorrere i feed classici diventa un movimento meccanico e automatizzato, spesso al punto da lasciarci intorpiditi â in cui comunque perseveriamo per timore che nel prossimo post possa esserci qualcosa che potremmo perderci â il social audio ci incoraggia a prendere una decisione e rivolgervi la nostra completa attenzione.
La cosiddetta FOMO (âFear Of Missing Outâ: la paura, appunto, di perdersi qualcosa) scompare, e subentra uno stato di accettazione, non di rassegnazione. Prendendo parte ad una discussione, unâaltra, benchĂŠ intrigante, sfumerĂ . Proprio come un libro da Morioka, che una settimana dopo non sarĂ piĂš lĂŹ â per non parlare degli altri che sullo scaffale non arrivano affatto.
Essere selettivi va bene: lâillimitatezza della rete è un linguaggio adatto ai computer. Per noi, compiere delle scelte esclusorie è la via piĂš corretta, perchĂŠ ci permette di risincronizzarci su un asse temporale umano. Quel che conta è che la scelta che facciamo, a cui regaliamo ore preziose, ci torni indietro come valore acquisito e ci faccia sentire âpieniâ (quanto lo si può dire di Instagram?).
Se Morioka nasce come antidoto allâinfinito raggio dâazione di Amazon (o chiunque si occupa di grande distribuzione nellâeditoria), Clubhouse agisce alla stessa maniera nei confronti dei social classici. Felici anomalie al momento, ma luci di un modello sostenibile. Entrambi possono funzionare; il secondo, crucialmente, anche online.5
Câè alcuna certezza che perduri, specialmente una volta che lâentusiasmo iniziale si sarĂ spento e al contempo si potrĂ tornare a circolare in libertĂ 6? Chiaramente no. Ă unâaltra sfida. Ma nel successo dellâapp il suddetto cambio radicale di paradigma fa capolino. Clubhouse dimostra che si può conciliare la dimensione infinita di internet con la riappropriazione e la rivalorizzazione del nostro tempo (e ciò a cui lo dedichiamo).
Vivendo in modo piĂš intenso, e dunque piĂš lento; concetto come ben sapete molto caro alla nostra newsletter. Se per arrivare fin qui vi âcostringoâ a leggere piĂš di quanto si è mediamente abituati per un pezzo online, il motivo è il medesimo: questa è la mia stanza, in cui vi accolgo con piacere ogni settimana nella speranza che vogliate stare un poâ insieme a discutere di âfuturo, tecnologia e dintorniâ.
Se volete uscire, come su Clubhouse, non vi serve che un click. Ma se restate, ci tengo che gli argomenti siano esaminati a fondo, spiegati e contestualizzati, e che con calma possano sedimentare e farvi riflettere. Trasmettervi un pensiero, non solo unâinformazione. Baso tutto il mio lavoro su questo principio, perchĂŠ sono convinto della sua validitĂ .
Il web corre ad una velocitĂ con cui non possiamo competere. La buona notizia è che non câè alcuna ragione per farlo: il baratto non vale davvero la pena. Ciò comporta delle rinunce, ma va bene cosĂŹ. Ă meglio perdere qualcosa che perdere se stessi.
Futuro Lesto:
Vi ricordate la diatriba fra lâAustralia e i publisher di due settimane fa? La visione contorta espressa nella proposta di legge del Paese a testa in giĂš è una disonesta tassa mascherata (scritta dagli scagnozzi di Rupert Murdoch) che mina le fondamenta dellâopen web, al punto che Google e Facebook hanno dovuto âminacciareâ di ritirarsi dal mercato. Sul numero tre scrivevo: âCedere [alle pretese della ACCC7] vorrebbe dire creare un precedente, ed è questo ciò che piĂš spaventa le due aziende: una cosa del genere potrebbe innescare un effetto domino altroveâ. Ed eccoci qua: il Financial Times ha riportato in settimana che lâUnione Europea starebbe considerando di adottare alcune misure simili8. Io credo che alla fine si giungerĂ ad un compromesso: in Australia, Google ha appena provato a porgere il ramo dâulivo lanciando il suo servizio News Showcase â che prevede un compenso per i publisher â e anche con la Francia ci sono negoziazioni in corso. Se câè però una cosa che mi aspetto di vedere nei prossimi anni, sono le pessime idee avanzate da policymaker che di tecnologia (o, in questo caso, di media) capiscono poco; senza contare i conflitti fra un ente regolatore e lâaltroâŚ
Una domanda che di solito ci si pone fra i non addetti ai lavori è perchĂŠ la (computer) grafica dei videogiochi non sia ancora ai livelli dei film. Câè unâenciclopedia di spiegazioni tecniche dietro, ma manteniamoci nel dire che la componente interattiva â e dunque modificabile in tempo reale â degli ambienti di un gioco introduce una serie di variabili complesse di cui le macchine devono tenere conto. Non è affatto semplice. I passi avanti, però, sono notevoli: Epic Games, che fra le altre cose sviluppa il motore grafico9 Unreal, ha appena pubblicato un tool chiamato MetaHuman Creator, che serve per modellare corpi ed espressioni facciali in 3D con fattezze umane dettagliatissime e un ottimo livello di customizzazione. So che non è una cosa facile da apprezzare, ma vi basti sapere che ci sono modelli su cui piĂš sviluppatori lavorano a volte per mesi, e che con questo strumento se ne può creare uno valido in pochi minuti. Date unâocchiata ai risultati, perchĂŠ sono sconvolgenti. Ah, e giĂ che ci siete, guardate anche questo video, che può illustrare meglio le meraviglie dellâultima versione dellâUnreal e aiutare a rifarvi gli occhi. Guardatelo e basta. Fino alla fine!
PerchĂŠ aspirare ad un futuro lento quando se ne può comodamente avere uno distopico? Il fuggi fuggi generale post-pandemia dai popolosi centri urbani sulle coste degli USA sta vedendo rifiorire le zone del Sud e dellâOvest-non-California, come Florida, Texas e Nevada. Proprio in questâultimo è in corso di revisione una legge che permetterebbe allo stato di dare in concessione vaste aree territoriali inutilizzate a compagnie private, che dopo aver soddisfatto dei requisiti minimi di investimento potrebbero di fatto stabilire dei loro governi autonomi. SĂŹ, avete letto bene. Case, scuole, servizi, tasse. Perfino delle corti di giustizia. Un tempo si sarebbe parlato di territori feudali, oggi le chiamano âInnovation Zonesâ. Ma stavolta, quello che cambia è⌠no, nulla, è esattamente come nel feudalesimo.
Rimaniamo sul piano post-pandemico. La settimana scorsa era Microsoft, ora è il turno di Salesforce: il gigante del software di San Francisco si è pienamente convertito allo smart working come visione futura. E non la manda a dire: in un post pubblicato sul blog ufficiale dellâazienda, viene scritto chiaramente che âil lavoro 9-to-5 è mortoâ. Lâorario si scorpora, il fuso diventa globale e lo sciame della forza lavoro distribuita non si interrompe mai; ogni dipendente ha la sua agenda personalizzata, e la necessitĂ di recarsi fisicamente al quartier generale viene ridotta allâosso. La flessibilitĂ , però, è come unâarma a doppio taglio: unâopportunitĂ per vivere ovunque e rimodulare la giornata in base alle proprie esigenze, o uno stratagemma alienante che oltre a tenerci fisicamente distanti consente al capo di chiamare ad ogni ora? In un modo o nellâaltro, siamo destinati a scoprirlo.
Per fortuna, in questo futuro pieno di Zoom, non manca di che divertirsi. Lâultimo capolavoro vede protagonista un avvocato, che durante unâudienza con un giudice attiva inavvertitamente un filtro e⌠niente, godetevelo. Gli occhi, la voce, gli sguardi degli astanti: è tutto perfetto. âNon sono un gatto.â
Vi lascio con due salti, uno nello spazio e uno nel tempo. Il primo ci porta in orbita, con queste sensazionali riprese della Terra in croccantissimo 4K. La registrazione completa dura unâora e mezza, ma voi divertitevi a spizzicare (col volume alzato). Dal minuto 64 potreste riconoscere qualcosa. Poi catapultatevi in questâaltro video, restaurato da alcuni archivi. Siete mai stati a Pechino? Forse, ma dubito che vi ci siate fatti un giro 110 anni fa. Ah, a proposito, oggi in Cina è capodanno. Buon Anno del Bufalo!
Bene, ora siete qualche passo avanti nel futuro: non vi resta che rallentare. Noi ci vediamo venerdĂŹ!
Se volete aggiungermi su Clubhouse cercate @prospektnorth â grazie GianvĂŹ!
Ci sono anche altre feature, come stanze programmate e/o ricorrenti, e poi i gruppi, ossia i veri e propri âclubâ.
Questo vale sia per la beta, che prevede lâaccesso solo tramite invito, sia per il fatto che lâapp è disponibile su iOS ma ancora non su Android. Il rollout è graduale perchĂŠ la domanda è alta e non si vuole sovraccaricare il sistema.
âŚperchĂŠ potremo, giusto?
La Australian Competition & Consumer Commission, lâente governativo che si è occupato della stesura del testo.
Negli Stati Uniti, rimanendo serio, le caldeggia il presidente di Microsoft Brad Smith. à un altro paio di maniche, ma il livello di sfacciataggine è encomiabile.
La piattaforma su cui un videogioco viene costruito.