Su Futuro Lento parliamo spesso del Big Tech, ed è ormai convenzione — su queste pagine — che il termine si riferisca, nello specifico, a cinque aziende: Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft. Tuttavia, nei circoli del commentario sul mondo tech la definizione è spesso più fumosa ed elastica, ed è anzi comune sentire l’acronimo alternativo FAANG.
No, la N non è un errore: è la bizzarra, pittoresca proposta secondo cui al posto di Microsoft ci sarebbe Netflix. Ci vorrebbe un post intero per spiegare perché Netflix, pur essendo una compagnia importante e con una certa influenza, abbia ben poco da spartire con le altre quattro. Ma è soprattutto l’assenza di Microsoft a stupirmi ogni volta.
L’idea che l’azienda di Redmond, poiché non occupa uno spazio di punta con qualche prodotto dedicato espressamente ai consumatori, abbia un ruolo di secondo piano rispetto alle altre quattro è, a mio giudizio, profondamente sbagliata. Anzi: per via della sua collocazione strategica in diversi business, il gaming primo fra tutti, Microsoft è a mio giudizio una delle aziende più strutturalmente solide e meglio posizionate e per rispondere alle sfide del domani1.
Stiamo parlando, giusto per fare chiarezza, dell’unica compagnia al mondo (oltre ad Apple) ad aver sforato i 2 trilioni (leggi: $2,000,000,000,000) di capitalizzazione di mercato. Una forte in settori chiave quali il cloud (Azure), l’enterprise (con la suite di Office 365) e il gaming (Xbox), e con una piattaforma — Windows — che gode ancora del supporto di oltre 1,5 miliardi di utenti.
Proprio in occasione del recente lancio di Windows 11, l’ultima versione del sistema operativo, mi sono venute in mente un paio di riflessioni che vorrei condividere qui.
In aggiunta all’ecosistema chiuso di Apple (iOS, macOS, etc.) e a quello più variegato di Google (Android e ChromeOS), l’unica piattaforma con un peso ed una presenza reali è proprio Windows. Che, caos sulla questione compatibilità a parte, sarà disponibile come aggiornamento gratuito dall’autunno, con l’arrivo di Windows 11.
Il nuovo sistema operativo è stato presentato in un evento rapido e conciso, ma ciononostante infuso del carisma di Panos Panay, l’executive della compagnia che si occupa della divisione Surface e, appunto, di Windows. Un primo contrasto con Apple, i cui ultimi keynote, sebbene visivamente splendidi, hanno sempre più un’aura plasticosa da infomercial (speriamo che si torni presto in presenza, almeno per quelli). E anche un’inversione di ruoli: vent’anni fa era Microsoft che strombazzava le nuove versioni di Windows in eventi pomposi durante il CES, mentre Apple doveva limitarsi a presentazioni sobrie e dettate da un budget inferiore come il Macworld.
Ciò del resto rifletteva la natura delle due aziende: Microsoft era quella la cui piattaforma determinava l’esperienza di quasi chiunque avesse un computer, consumatore o sviluppatore che fosse, mentre una moribonda Apple doveva semplicemente tentare di restare a galla. Oggi è Microsoft che non ha niente da perdere (o quasi), mentre Apple regna incontrastata e fa il bello e il cattivo tempo — non solo con le ultime versioni dei suoi sistemi operativi, iOS su tutti, ma tramite le varie interfacce rivolte all’esterno, come l’App Store o l’IDFA.
Dicevo che Microsoft non ha quasi nulla da perdere; questo perché Windows ha, scrivevo più su, ancora un miliardo e mezzo di utenti, molti dei quali nel mondo aziendale. Ma Windows, da tempo, non è più al centro del piano strategico dell’azienda, come lo sono invece iOS e macOS per Apple. Se c’è una cosa che, sin da subito, il CEO Satya Nadella ha preso in pieno dal momento del suo insediamento, è stata esattamente la scelta di spostare il baricentro di Microsoft da Windows ad altri bracci più promettenti e profittevoli.
Windows è un sistema operativo nato per computer fissi e portatili: strumenti dei quali siamo tornati a fare maggiore uso negli scorsi diciotto mesi, a causa del Covid, ma che nel corso del decennio precedente hanno ceduto il passo non solo ad un paradigma nuovo, ma anche ad un mercato infinitamente più grande, ovvero il mobile. Microsoft quella sfida l’ha persa, senza mezzi termini, e indubbiamente la sua rilevanza è venuta meno. Infatti, laddove sino a pochi anni prima il vecchio AD Steve Ballmer continuava ad insistere sulla centralità di Windows, la forza di Nadella è stata quella di riconoscere immediatamente la sconfitta per reincanalare le risorse altrove.
Se oggi Windows ha la possibilità di ripartire sotto nuovi presupposti2 lo deve esattamente al fatto che abbia fatto i conti col proprio passato — e, soprattutto, col presente.
Tornando al confronto con Apple, è utile ricordare come alla fine degli anni ‘90 il problema dell’azienda fosse il circolo vizioso in cui si trovava: c’erano pochi sviluppatori a lavorare sulla piattaforma, e dunque poche applicazioni e pochi utenti. Se ci sono pochi utenti, per gli sviluppatori manca un incentivo a creare nuove esperienze — e così via. Quindi cosa ha fatto Apple? L’ha risolta nel modo più Apple possibile, ossia creando le applicazioni da sé. Stiamo parlando della suite iLife, e in particolare di iPhoto, iMovie, iTunes e GarageBand. Con questi strumenti Apple è riuscita ad invertire il ciclo, portando a bordo di OS X molti nuovi utenti che poi avrebbe fidelizzato nel tempo.
Oggi che la differenziazione sul software per desktop/laptop è ai minimi storici, invece — perché al netto di specifiche applicazioni molto avviene sul web — Apple sta puntando sulla sua leadership nell’hardware; e in particolare su Apple Silicon, la linea di system-on-a-chip (SoC) che ha sostituito i processori Intel in (quasi) tutta la gamma dei nuovi Mac (e dell’ultimo iPad Pro), e che è notevolmente avanti ad ogni altro prodotto sia nel campo x86 sia in quello ARM. Di conseguenza, Windows si trova ora dal lato opposto: la linea Surface è certamente innovativa, ma non ha ancora minimamente i volumi per fare la differenza. E dunque, come la Apple di vent’anni fa, Microsoft deve fare leva sul software per giustificare al mondo la propria esistenza.
Ma, naturalmente, a modo proprio.
Più Apple integra verticalmente e costruisce da sé l’intero pacchetto (hardware, software, servizi, SoC), più Microsoft si allarga orizzontalmente, aprendo Windows agli sviluppatori nella speranza di avviare tramite loro il circolo virtuoso. Tra questi segni di apertura due sono sicuramente i più degni di nota: l’adozione delle app Android, che potranno essere installate tramite l’Amazon Appstore o manualmente via file .apk; e i cambi ai meccanismi di pagamento all’interno del Microsoft Store, che abbassano la fee dal 30% al 15%, o la azzerano del tutto nel caso di utilizzo di sistemi di pagamento che non passano da Microsoft3.
In un’eccellente intervista rilasciata a The Verge, Nadella insiste molto sul fatto che Microsoft si stia muovendo in modo competitivo in direzione opposta ad Apple (e Google), cercando di aprire e “spacchettare” Windows (unbundling!) per fare in modo che sviluppatori e clienti di ogni grandezza ne possano sfruttare anche solo una parte. Si può vendere un’app direttamente sul Microsoft Store, ad esempio, ma non per forza gestire la fatturazione con Microsoft. O si può decidere di vendere l’app da un’altra parte completamente, come su Steam o l’Appstore di Amazon. Va tutto bene e tutte le opzioni sono sul tavolo: Windows è malleabile e modulare.
Perché, appunto, non avrebbe senso che fosse altrimenti — l’OS non è più al cuore della bottom line dell’azienda, e lo stesso Microsoft Store ha un’oncia dell’influenza dell’App Store o del Play Store. A che servirebbe la rigidità? Windows ormai è aperto, sia in termini di software che si può scrivere (e dunque utilizzare) per la piattaforma, sia per i vari modelli di business legati alla distribuzione che essa permette. Tentare di integrare un modello verticale sarebbe un suicidio inutile, oltre che un rischio sciocco di inimicarsi gli sviluppatori (chiedere ad Apple o Google per conferma).
Ciò però non significa essere anche automaticamente un buon sistema operativo, che è un altro paio di maniche e dipende da svariati fattori4, non da ultimo proprio lo stesso hardware. Se Apple può permettersi di ottimizzare tutto, infatti, Microsoft avrà certamente più difficoltà a raccapezzare un ecosistema infinitamente più eterogeneo e sparpagliato. Ma la domanda resta: importa davvero?
Come scritto sopra, salvo alcuni casi particolari, la stragrande maggioranza dell’utilizzo di un computer moderno viene filtrata agevolmente dal web (browser) e, presto, dal cloud — e anche a fronte di esigenze specifiche, i benchmark sintetici che staccano Apple Silicon dai processori AMD o Intel dentro alla maggioranza dei PC hanno risvolti pratici non così drammatici nella vita di tutti i giorni. E anzi, paradossalmente, l’unica area in cui applicazioni native hanno ancora vero bisogno di esistere è il gaming, che è totalmente appannaggio di Microsoft5. I PC, dunque, possono restare competitivi.
Che poi Windows 11 diventi una piattaforma matura e completa (una su cui, come ripeteva lo stesso Nadella, è possibile costruire esperienze il cui valore finale eccede quello dello strato sottostante) rimane da vedere. Ma Microsoft ha tutte le carte in regola per giocarsi la partita — e non doversi neanche preoccupare troppo.
Qui vorrei avere un post dedicato al metaverse da linkare. Arriverà…
Il sottotitolo del pezzo, che fa chiaramente riferimento al fatto che il celeberrimo tasto “Start” di Windows sia stato riposizionato al centro della Taskbar, era intraducibile in Italiano.
Che è una mossa chiaramente opportunistica per non finire nel mirino degli enti regolatori, non un gesto di carità, sia chiaro. Ma ciò non toglie che il peso in meno sulle spalle degli sviluppatori, soprattutto quelli più piccoli, non sia indifferente.
L’idea delle app Android, ad esempio, potrebbe anche essere vincente, ma da un punto di vista della UX è un grattacapo non da poco.
Cosa che, però, con il Game Pass in cloud sarà proprio la stessa Microsoft a cambiare. Yay apertura!